I Berliner Symphoniker per il ventennale de "Il Settembre dell'Accademia"
«Essere nuovamente invitato a “Il Settembre dell’Accademia”, dopo il debutto dello scorso anno, è sicuramente emozionante». Così il Maestro veronese Nicola Guerini commenta il ritorno sul podio del Teatro Filarmonico assieme a nomi di grande prestigio quali Daniel Barenboim, Antonio Pappano, Zubin Mehta e Georges Prêtre. Un’emozione che, con un concerto straordinario fuori abbonamento fissato per lunedì 10 ottobre 2011 alle ore 20,30 – organizzato grazie al sostegno di Banca Popolare di Verona e Fondazione Giorgio Zanotto – si unisce ai festeggiamenti del ventennale de “Il Settembre dell’Accademia”. «Un percorso artistico – prosegue – ideato e sostenuto da Luigi Tuppini, presidente dell’Accademia Filarmonica di Verona, che è riuscito a creare in tutti questi anni un festival internazionale con le migliori orchestre e solisti da tutto il mondo. Quest’anno in particolare il cartellone artistico è ricchissimo di appuntamenti di assoluto pregio». Curriculum Berliner Symphoniker Curriculum Maestro Nicola Guerini Intervista al M° Nicola Guerini (di Anna Ortolani) Maestro, essere presente per due anni consecutivi all’interno del festival con orchestre di assoluta importanza è indubbiamente un bel traguardo! E’ la prima volta che si trova a dirigere la prestigiosa compagine dei Berliner? L’anno scorso sono stato invitato al Festival con la Sophia Philarmonie con la quale ho poi continuato un rapporto artistico, debuttando successivamente alla Sala Nazionale di Stato con la IV di G. Mahler. Il 2011 è stato un anno pieno di impegni e soddisfazioni lontani dall’Italia, che continueranno anche nel 2012. Quest’anno sono al Festival con i Berliner Symphoniker. Con loro è nata una felice collaborazione e sono davvero elettrizzato dall’idea di fare musica con un’orchestra con un repertorio immenso e dalla quale ho subìto un immediato fascino per il suono. Lavorare con i Berliner Symphoniker segna sicuramente un momento importante per la sua carriera direttoriale. Come è avvenuto l’incontro? La mia agenzia ha proposto la mia collaborazione e attraverso un video sono piaciuto…poi il contatto artistico. Prossimi impegni artistici? Molte collaborazioni e progetti sia per l’opera che per il repertorio sinfonico ma, scaramanticamente, non amo anticipare. Quali brani verranno proposti il 10 ottobre p.v. al Teatro Filarmonico di Verona? Per l’edizione di quest’anno ho scelto un programma che frequenterà il mondo di tre autori che amo molto: L.V. Beethoven con Ouverture “Die Geschopfe des Prometeus” Op. 43 e La Sinfonia n. 1 in Do minore, Op. 11 di Felix Mendelssohn e La Sinfonia n. 6 di F. Schubert D. 589, eseguite per la prima volta al Festival “Il Settembre dell’Accademia”. Le Creature di Prometeo (Die Geschopfe des Prometeus) è un balletto in tre atti musicato tra il 1800 e il 1801 per la coreografia di Salvatore Viganò. Ha debuttato al Burgtheater di Vienna il 28 marzo 1801. si tratta dell’unico balletto composto da Beethoven, con l’eccezione Ouverture, che visse una vita indipendente come pezzo da concerto. Il libretto originale è perduto, mentre rimane il programma della prima rappresentazione. Il finale contiene, in forma di rondò, il tema con variazioni del che chiuderà la sinfonia n. 3, nota come l’Eroica. Poi diceva due gioielli sinfonici in prima assoluta per il Festival, ma molto interessanti sotto il profilo musicale e intensità dreammatica: Si tratta della Sinfonia n.1 in Do minore, Op. 11 di Felix Mendelssohn, completata il 31 marzo 1824, anche se lo spartito fu pubblicato solo 7 anni dopo. Mendelssohn fu un talento assai precoce, e la data di composizione di questa sinfonia lo conferma: Mendelssohn all’epoca aveva solo 15 anni. La composizione è dedicata alla Royal Philarmonic Society che ne offrì la prima rappresentazione il 25 maggio 1829, con il giovane Mendelssohn alla direzione. Mendelssohn in seguito orchestrò lo Scherzo del suo Ottetto op. 20, offrendo un terzo movimento alternativo alla sua prima sinfonia. Poi, nella seconda parte del programma, La Sinfonia n. 6 D 589 di F. Schubert. conosciuta come “La Piccola” Do maggiore sinfonia per distinguerla dalla Sinfonia n. 9 D 944, La Sinfonia n. 6 è sicuramente il terreno in cui il compositore mostra la sua evoluzione verso le successive grandi opere, in cui traspare l’ammirazione per Beethoven e il grande fascino per la musica di Rossini. Può stupire il giudizio severo del compositore sui propri lavori sinfonici,ma occorre riflettere sulle partiture, scritte fra il 1813 e il 1818 (fra i sedici e i ventunanni) che non furono destinate dall’autore all’esecuzione pubblica, ma che sono senz’altro gli unici lavori del loro tempo che possano essere considerati degni di un qualche rilievo se accostati con i capolavori beethoveniani. Nel cammino del compositore verso una propria consapevolezza stilistica, la sesta Sinfonia in do maggiore – detta “piccola” per distinguerla dalla “grande” sinfonia n. 8 nella medesima tonalità; scritta fra l’ottobre 1817 e il febbraio 1818 ma eseguita solamente dieci anni più tardi, in un concerto commemorativo per la scomparsa dell’autore – costituisce un prezioso momento di crescita e di acquisizione di nuovi modelli stilistici, primo dei quali dovrà essere riconosciuto nell’influenza di Rossini. La musica del compositore italiano sarebbe divenuta veramente di moda a Vienna dopo il 1822, quando tutta la troupe del San Carlo di Napoli, guidata dall’impresario Baraja e dallo stesso maestro, si trasferì nella capitale dell’impero per eseguire Zelmira. Ma già da diversi anni le opere di Rossini erano approdate a Vienna suscitando interesse e scalpore. Le reazioni dei compositori tedeschi di fronte a questa sorta di “invasione” furono generalmente ostili; basterebbe pensare ai commenti sarcastici di Spohr e Weber, dettati peraltro più da nazionalistica avversione verso la musica italiana che da argomentazioni musicali e drammatiche. Ben diverso l’atteggiamento di Schubert, che il 19 maggio 1819 poteva scrivere a un amico: “Recentemente è stato eseguito qui a Vienna l’Otello di Rossini. Quest’opera è di gran lunga migliore cioè più caratteristica del Tancredi. Non si può negare che lui abbia un genio straordinario. L’orchestrazione è a volte molto originale, così come lo è la scrittura vocale, a parte le solite galoppate italiane, e le molte reminiscenze del Tancredi.”. Grande considerazione dunque – rivolta significativamente a due opere drammatiche e non buffe – che non ha mancato di stupire studiosi anche insigni, pronti a ridimensionare l’influsso del maestro italiano su quello austriaco. Eppure il nucleo del problema risiede nel fatto che l’humus culturale in cui Schubert era cresciuto non era affatto antitetico a quello di Rossini. Se quest’ultimo veniva definito durante gli studi “il tedeschino” per la sua imitazione dei modelli haydiani, Schubert aveva dal canto suo studiato con Salieri e aveva profondamente assimilato la musica italiana. A vent’anni, in cerca di una propria autonoma strada rispetto ai prototipi del classicismo, di una emancipazione dagli schemi haydiani su cui ancora si erano edificati i primi lavori sinfonici, Schubert non poteva ignorare le novità che la musica di Rossini portava sulla scena europea. L’energia propulsiva dell’orchestra rossiniana, i suoi infallibili giochi di colori, il gusto del fraseggio e il senso della forma dovevano riversarsi direttamente nelle due Ouvertures in stile italiano del 1817,e venire poi filtrati con maggiore discernimento nella sesta Sinfonia in cui la sensibilità schubertiana si incontra efficacemente anche con la grande ammirazione per Hayden e Beethoven.